Dal demansionamento non deriva sempre un danno

Il pregiudizio da dequalificazione si può provare per presunzioni ma vanno prima indicati gli elementi dai quali desumerlo.

Il danno da demansionamento si può provare anche per presunzioni, ma è sempre necessario che il lavoratore descriva le circostanze in fatto dalle quali desumersi la sua esistenza.
La Suprema corte ha ritenuto che nel ricorso introduttivo mancasse la descrizione del fatto e ha rigettato la richiesta di risarcimento con l’ordinanza 6941 dell’11 marzo. Il lavoratore aveva prima ottenuto una sentenza definitiva contro il precedente datore di lavoro, condannato a risarcire il danno da demansionamento e a reintegrarlo nelle mansioni. Poi aveva fatto causa all’impresa subentrante, nei cui confronti la sentenza faceva stato, chiedendone la condanna al risarcimento del danno, poiché non era stato assegnato alle mansioni spettanti.
La Corte di appello ha riconosciuto il demansionamento successivo alla prima sentenza, ma ha rigettato la domanda di risarcimento del danno alla professionalità, ritenendo le allegazioni generiche con riguardo sia alla quantità e alla qualità dell’esperienza lavorativa precedente, sia all’esito finale della dequalificazione; in altre parole, non era stato descritto il contenuto delle mansioni spettanti e di quelle in concreto attribuite. Per questa ragione non era stato dato corso all’istruttoria. La Cassazione ha confermato la correttezza della sentenza impugnata e ha ribadito che il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non deriva automaticamente dall’inadempimento datoriale. Spetta al lavoratore indicare gli elementi di fatto dai quali dedurne l’esistenza, come, ad esempio, la qualità e la quantità del lavoro svolto, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la nuova collocazione lavorativa a seguito del demansionamento. Dedotti e provati questi elementi, la prova del danno si potrà dare anche per presunzioni, ai sensi degli articoli 2727 e 2729 del codice civile. Si tratta di principi già espressi dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza 6572/06, quando la Corte evidenziò che dal demansionamento può derivare il diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale. Il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica, medicalmente accertabile; il danno esistenziale va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, compresa la prova per presunzioni.