Distacco e somministrazione non contano nei 36 mesi per la conversione a tempo indeterminato

Interpretazione strettamente letterale della norma secondo cui il superamento del termine che determina l’illegittimità del “td” deve avvenire con lo stesso datore di lavoro.

Nel periodo di trentasei mesi, il cui superamento determina l’illegittimità del contratto a termine, non rientra il lavoro svolto in regime di distacco o somministrazione per altro datore di lavoro. Con l’ordinanza 7413/20, pubblicata il 17 marzo, la Suprema corte dà un’interpretazione strettamente letterale della norma contenuta nell’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo 368/01, che fa riferimento alla successione di contratti a termine per più di trentasei mesi con lo «stesso datore di lavoro».
Nel caso deciso, una lavoratrice aveva chiesto la conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato, oltre all’indennità risarcitoria, per avere sostanzialmente svolto le stesse mansioni con più contratti a termine per quasi quattro anni. La particolarità era però nel fatto che per il primo anno aveva lavorato con contratto a termine alle dipendenze di altro datore di lavoro, che l’aveva distaccata presso l’utilizzatore effettivo. Aveva poi continuato a svolgere le stesse mansioni per alcuni mesi in virtù di un contratto di somministrazione, alla scadenza del quale era stata assunta direttamente dall’utilizzatore con altro contratto a termine.
Il ricorso in Tribunale era stato accolto, sul rilievo che tutti i contratti a termine fossero rilevanti ai fini del calcolo del periodo di riferimento, che pertanto doveva ritenersi superato; era stata così disposta la riammissione in servizio. La sentenza è stata però riformata in appello, con sentenza confermata in Cassazione. È stato evidenziato, infatti, che non era stata adeguatamente contestata la validità dei due precedenti contratti, né era stata dimostrata la loro nullità perché stipulati in frode alla legge o simulati. Sulla base di questo presupposto, il periodo complessivamente lavorato con i primi due contratti a termine, pari a circa un anno e mezzo, non poteva essere ritenuto rilevante ai fini del calcolo dei trentasei mesi, poiché essi erano stati stipulati con due datori di lavoro diversi da quello nei cui confronti era chiesta la riammissione in servizio.
La Cassazione, così come la Corte di appello, ha ritenuto che il testo di legge è chiaro e non lascia spazio a interpretazioni, come previsto dall’articolo 12 delle preleggi al codice civile: in claris non fit interpretatio.